L’altro giorno, mentre andavo al Riviera International Film Festival di Sestri Levante con la brigata di Coccodè, si parlava della scuola Holden e del mio racconto Editto B., comparso su una raccolta dal titolo 404 – fantascienza non convenzionale.
Ecco, in questi giorni di bufera politica che si è abbattuta come un prevedibilissimo fulmine a ciel sereno sulla Liguria, questo mio racconto diventa attualissimo. Come dire, distopico ma non troppo.
Tutto è in vendita, tutto diventa merce di scambio. Anche la dignità, anche la libertà (soprattutto la libertà), anche la bellezza.
Giusto in queste settimane, mi sto interrogando molto su alcuni aspetti di questo mondo che, anche se non lo capisci, ti mangia dentro e lascia solo il guscio fuori. Che può essere bellissimo, come quello dei tanti influencer che brillano su Instagram, ma che poi, spesso, altro non è che un’immagine bidimensionale per le masse.
Io non farò nomi ma, giusto giusto al RIFF, ho assistito alla desolazione di una di queste starlette bionde e vuote come la crisalide abbandonata dalla propria farfalla interiore.
Un po’ come cantano gli Zen Circus in VIVA:
Questo, assieme a tante altre piccole epifanie, mi hanno portato ad accorgermi, con un po’ di terrore e angoscia, che sto perdendo la capacità di scrivere. Di andare a fondo, di guardare oltre le cose. Leggo poco e passo troppo tempo a scrollare un contenitore pieno di cazzate che, più che di corrente, sembra alimentarsi delle mie energie.
Nulla di nuovo, è un problema di tutti.
Solo che io la mia farfalla interiore non la voglio perdere, ecco tutto.
Il racconto ve lo lascio qua (se invece voleste comprare la raccolta, la trovate su amazon a questo link).
Editto B.
di Alberto Della Rossa
Li abbiamo accolti come i figli che abbiamo sempre desiderato, abbiamo pianto lacrime di gioia quando hanno parlato ai nostri cuori.
Spigliati, con la lingua rapida e l’intelletto veloce. Non c’era alcun “altro”, solo persone come noi.
Portavano cellulari come i nostri, leggevano i nostri stessi giornali, i nostri libri preferiti. Cantavano le nostre canzoni, conoscevano i nostri idoli, ridevano delle nostre battute.
Abbiamo creduto fossero come noi.
E invece no. Erano più intelligenti.
Sono il successo di Mister B.
E ora sono i nostri padroni.
Roma, 202*, in una qualche stanza dei bottoni.
Vitaliano si accese una sigaretta e si allungò sullo schienale di pelle della poltrona. L’aria condizionata sparata al massimo turbava il ricciolo di fumo che si alzava dalla brace. Strinse gli occhi e fissò una voluta nata perfetta spezzarsi sotto l’impietoso flusso di aria fredda.
Aveva iniziato per quello, tanti anni prima. Per inseguire la bellezza fugace e trasparente di un filo azzurro. Aveva continuato per vizio, e ora si quasi si faceva ammazzare pur di procurarsi delle bionde vere.
La porta si aprì. Il Garante del Popolo entrò, tronfio come un tacchino. Una stagista senza contratto e senza futuro, fasciata in un tailleurino da pochi spicci, lo inseguiva come un sexy anatroccolo.
«Ancora con quelle porcherie? Ti fanno venire il cancro», berciò il Garante.
Vitaliano alzò un sopracciglio, quindi aspirò una boccata profonda. Trattenne il fumo acre nei polmoni per un po’, i lineamenti distesi in un’espressione beata.
«Crede che me ne importi qualcosa, Bordighera? Queste sigarette sono l’ultimo piacere che mi rimane.»
«Puzzano. Cosa sono?»
«MS. Le ultime che si trovano in circolazione. D’altronde, niente più Stato, niente più sigarette da Monopolio, no?»
«Potresti svapare, come le persone civili.»
«Se svapare lo ritiene una cosa civile.»
«A volte, Vitaliano, mi chiedo se tu sia davvero un amico del Popolo.»
Vitaliano sospirò.
«Sì, lo sono. Sono qui, dopotutto.»
«Ecco, appunto. Ti ho chiamato per una questione importante e delicata. Betta, fai partire il filmato.»
La stagista sfiorò un telecomando con conturbante leggerezza. Non aveva dubbi sul perché Bordighera la tenesse con sé.
Una serie di immagini sfilarono sul muro. Sempre lo stesso caos che dal giorno del Grande Rifiuto correva per le strade.
Niente più tasse, niente più padroni, il Popolo Sovrano, urlavano i cortei. Per la prima volta, il Popolo intero era rimasto unito. Nessuno aveva più pagato un centesimo di tasse, e nel giro di pochi mesi lo Stato era caduto come un leviatano colpito a morte.
«E quindi?» chiese Vitaliano «non vedo nulla di strano. È ciò che il Popolo voleva. Libertà.»
«Ma non quello di cui ha bisogno.» replicò Bordighera.
«Adesso è lei che parla come un nemico del Popolo.»
Bordighera strizzò gli occhi.
«Sono il Garante del Popolo. Espressione stessa dell’equanimità di tutti i diritti.»
«Mi sembra che là fuori ognuno faccia come gli pare. I diritti sono rispettati.»
«Vedi, Vitaliano, tu ti credi molto intelligente. Un professorone. Di sicuro sai il fatto tuo, ma voglio mostrarti una cosa. Aprirti gli occhi. Betta, la valigetta.»
Betta si chinò in avanti in una perfetta postura da social e porse la ventiquattrore con un sorriso perfetto.
Bordighera la aprì e ne guardò il contenuto.
«Per te di colore è la libertà?»
Vitaliano spense la sigaretta.
«Non saprei. Me lo dica lei.»
«Ecco, un’altra cosa che non sai. La risposta è scomoda, ma la libertà è bianca. non in senso razziale, non fraintendermi. La libertà è l’unione di tutti i colori, di tutti i pensieri, di tutti i credi. Bianca. Pura.»
Vitaliano annuì.
«Ed è quello che il Nuovo Governo del Popolo ha cercato di ottenere con il Grande Referendum.» proseguì Bordighera.
«La buffonata?»
«Come ti permetti?»
«Un referendum a risposta unica non è un referendum.»
«Eccolo, il professorone. Perché era chiara la volontà del Popolo: LIBERTÀ. Il Grande Referendum è una presa di coscienza.»
La poltrona in pelle non sembrava più così confortevole. Si accomodò meglio, accese un’altra sigaretta.
«Ora il problema è un altro, e ho avuto una grande intuizione guardando giocare i miei figli. Guarda!»
Il Garante tirò fuori dalla valigetta dei tubetti di tempera colorata. Rossa, Verde, Gialla. C’era un tubetto rosa shocking, uno nero, un altro ancora bianco.
«Ne ho preso uno per ogni volontà. Forse ne manca qualcuna, ma non credo faccia molta differenza.»
Spremette i tubetti sul tavolo in tanti piccoli riccioli di colore.
Poi, con sguardo trionfante, affondò un dito e mischiò tutto in una pappa dal colore immondo.
«Lo vedi?»
«Cosa dovrei vedere, Bordighera?»
«Questa non ha il colore della libertà. Questa è… MERDA!»
Vitaliano si passò la mano sulla fronte. Non credeva ai suoi occhi. Iniziava quasi a pentirsi della sua flessibilità, la stessa che lo rendeva così richiesto per le operazioni sotto copertura.
«Ma non mi dica.» sbottò sarcastico.
«Vitaliano, non fare il galletto. Ricordati che qua il capo sono io.»
Serrò la mascella e trattenne il commento tra i denti.
«Bene, Bordighera, tagliamo corto. Cosa vuole da me?»
«Cosa vuole il Popolo, Vitaliano. Cosa vuole il Popolo» e sollevò il dito sporco di tempera marroncina.
«…il Popolo, giusto» ripetè, calcando la p quel tanto che bastava.
«Così non può andare. Il Popolo vuole la libertà, non padroni. Deve essere indirizzato affinché faccia le scelte giuste. Per uscire dal caos, per trasformare l’anarchia ci servono le persone giuste al posto giusto.»
«Suggerisce per caso un colpo di Stato?»
Bordighera divenne paonazzo. Si guardò attorno come un bovino al macello, con gli stessi occhi terrorizzati e folli.
«Giammai! Io sono il Garante del Popolo, ha capito? Io PROTEGGO il Popolo!» e afferrò la bottiglietta d’acqua sul tavolo. «No Vitaliano, io so che certe decisioni vanno prese, ma sempre nel bene comune. Noi abbiamo bisogno di qualcuno che sappia parlare la stessa lingua della gente, che sappia farsi ascoltare. Qualcuno dalle belle parole, qualcuno che ispiri le persone a essere migliori.»
Bordighera portò la bottiglietta alle labbra e la vuotò, guardando negli angoli. Vitaliano si chiese quante orecchie ci fossero in quella stanza.
«Abbiamo un piano» disse a voce bassa il Garante. «Il Popolo, ha un piano», si affrettò ad aggiungere.
Frugò nella ventiquattrore e ne tirò fuori una cartelletta con sopra scritto Editto B. in lettere cubitali.
«Qua ci sono tutte le informazioni che ti servono. Non deluderci.»
Vitaliano la prese e la girò tra le mani. Uno sbaffo di tempera marrone macchiava il dorso.
Alzò gli occhi verso Bordighera. Provò qualcosa di molto vicino alla repulsione fisica per quell’uomo medio nel suo completo blu.
«Cosa ci guadagno?» chiese infine.
Bordighera sorrise furbo.
«La libertà del Popolo, amico mio.»
Torino, una settimana dopo.
Vitaliano aspettava nell’androne rivestito di marmo. Il completo nero lo faceva sentire uno scarafaggio sul ripiano di una cucina immacolata.
Era arrivato su una corriera scassata che percorreva quello che rimaneva della A1. Torino vomitava smog sui semafori spenti e sulle strade con l’asfalto in pezzi. Il sole agostano si nascondeva dietro la cortina venefica e arrostiva i poveracci nei palazzi risorgimentali che senza corrente per l’aria condizionata si erano trasformati in forni.
Dopo un paio d’anni di Libertà, stare freschi era un lusso che si potevano permettere in pochi. La corrente rimasta era appena sufficiente per caricare gli smartphone e restare connessi alla grande piazza virtuale da in cui era partito tutto. Il Popolo si era spogliato di qualsiasi cosa, tranne che dei media.
Il ragazzotto biondo vestito di lino bianco che l’aveva accolto rientrò nella stanza.
«Il Maestro vi attende.» disse, facendo cenno di seguirlo.
Il cortile interno era lussureggiante. Rampicanti correvano per le colonne e grossi fiori purpurei ricadevano pesanti sulle foglie verde smeraldo. Da qualche parte un usignolo cantava.
Al centro c’era una fontana di travertino. Lui era lì, seduto sul bordo, intento a leggere un libro ad alta voce, avvolto in un completo di lino bianco, la camicia sbottonata sul petto abbronzato, i piedi scalzi e i capelli argentei spettinati in maniera perfetta, attorniato da alcuni ragazzi che lo ascoltavano estasiati.
Concluse la frase e posò il libro sulle gambe con aria serafica, gli occhi chiusi e i lineamenti distesi. I ragazzi lo imitarono.
Vitaliano si guardò intorno e si spostò all’ombra senza fiatare.
Passò qualche minuto, poi l’uomo si aprì in un sorriso soddisfatto.
«Vedete, mie promesse» disse indicando Vitaliano ai ragazzi «questo è un uomo che sa aspettare. Che conosce il suo tempo, che non teme il confronto, che sa qual è il suo posto. Lei ha mai letto la Recherche, signor?»
«Vitaliano. No, non l’ho letta. Proust, vero?»
«Un vero peccato. Sì, Proust. Bene, mie promesse. Andate a cercare il vostro tempo e la vostra storia.»
I ragazzi si alzarono e scomparirono nell’ombra delle aule che davano sul cortile interno con un brusio, lasciando dietro di loro un senso d’attesa incompiuta.
Il Maestro doveva avere una settantina d’anni. Era giovanile, snello. Forse, per una donna, poteva essere ancora un bell’uomo, di sicuro lo era stato.
Vitaliano lo scrutò da capo a piedi. Dentro a quella splendida conchiglia percepiva una vertigine, un’assenza furba che scintillava negli occhi castani. Incontrare gente pericolosa era il suo mestiere, e l’uomo vestito di lino era molto, molto pericoloso.
«Lei dev’essere Mister B.» e tese la mano. «Vive in un bel posto. Molto diverso dalle strade di Torino.»
«Molto diverso dalle strade del mondo», lo corresse Mister B. «Viviamo in tempi davvero particolari, non crede?»
«Io non credo nulla. Ma sono qui proprio per dare il mio contributo. Immagino sapesse del mio arrivo.»
«Certo, l’accordo con il Nuovo Governo del Popolo. Preferisco tuttavia pensare a una missione. Lei, Vitaliano, ha un nome importante. Anzi, lei deve essere importante, se è stato mandato fin qua da me. Conosce i dettagli del progetto?»
Vitaliano annuì. «Li ho letti, sì.»
«E cosa ne pensa?»
«Mi lasciano perplesso.»
«Per questo lei è qui, ora. Il mondo sta veramente cambiando. E il culto del bello è tutto ciò che ci è rimasto per dare uno scrollone al mondo, per cambiarlo senza violenza ma con violenza, diciamo. Io credo davvero che mi sia stato dato il privilegio di vivere una transizione del mondo di quelle feroci, spettacolari, luminose. Ha letto il mio ultimo romanzo?»
«Non ho avuto il piacere, no. Ma l’ho visto sugli scaffali delle librerie. Quelle che rimangono, perlomeno.»
«Quelle che rimangono, ha detto bene. Noi viviamo un conflitto epocale, come quando è arrivato l’illuminismo, poi il duello con il romanticismo, la rivoluzione industriale… sono scossoni pazzeschi, di carattere culturale, mentale, pratico.»
«La gente muore di fame.»
«La gente muore per la libertà» puntualizzò Mister B. «ma non è necessario. Cosa vede attorno a sé, Vitaliano?»
«Paura. Rabbia. Ferocia. Siamo come cani che si azzuffano per un morso di carne marcia.»
«Fame! Ecco, io vedo un’opportunità! La stagione delle grandi identità, delle grandi istituzioni, è finita. È un mondo che è rotolato via da tempo e noi tutti continuavamo a osservare il galateo di una cena senza più commensali. Il vantaggio di vivere in un’epoca simile è che tutto ciò che era rigido, petroso, marmoreo, stabile, apparentemente immutabile ora ha un momento di debolezza, di fragilità, come se saltasse un battito del cuore. E questo mancamento, che per molti è un terrore, per me è una feritoia per infilare i miei desideri nel tessuto del mondo.»
«I suoi desideri?»
Mister B. sorrise sornione. «Mi perdoni. I nostri. Del Popolo. E sa come faremo?»
Vitaliano attese. Aveva capito che quella conversazione era in realtà un monologo.
«La bellezza salverà il mondo. Lo disse il grande Dostoevsky, e noi saremo gli strumenti della sua grande profezia. Abbatteremo i muri che dividono, uniremo con la bellezza della cultura e delle parole. Questo luogo è il Linceo in cui plasmare i condottieri intellettuali del mondo a venire.»
Il silenzio calò sul cortile, mentre il peso di quelle parole ancora rotolava sull’acciottolato.
Vitaliano rabbrividì.
In un angolo, un ragazzo fissava Mister B. in tralice.
Aveva trascritto ogni singola parola.
Colli di Roma, primavera.
Il sole tramontava sui colli romani in fiammate color salmone che a oriente già stingevano nello stesso lilla del glicine che copriva il piccolo pergolato.
La radio gracchiava un podcast sulla Carrà e sulla sua grandezza. Vitaliano sorrise. Ricordava quella prima puntata di Milleluci, lo schermo in bianco e nero e Gorni Kramer che sorrideva sornione in mezzo a Mina e alla Carrà. Lui aveva sì e no dieci anni e si era perdutamente innamorato di quel sorriso e di quel caschetto biondo.
Si allungò sul tavolino coperto da una tovaglia di plastica e si versò un po’ di vino nel bicchiere.
Poteva andargli peggio. Gli toccavano pochi giorni al mese di lavori socialmente belli, anche se qualche volta proprio belli non erano. Era un privilegiato, lo sapeva.
La sigla di chiusura del podcast si esaurì nel canto serale delle cicale, prima di essere sostituita dalle note sconclusionate di Allevi o di qualche altro Alfiere della Bellezza.
Note di regime prima della propaganda.
Una voce maschile, giovane, suadente, impeccabile nella sua imperfetta e calcolata inflessione torinese. Vitaliano se le immaginava, quelle labbra, il velo di barba bionda, gli stessi occhi azzurri che aveva incrociato per un attimo in quel cortile interno, la scellerata mattina di agosto in cui aveva stretto la mano al diavolo.
«Cittadino della Bellezza, sorridi. Come i bambini lasciamo orme sulla sabbia, precise, ordinate, immagine di un istante perfetto. Domattina ti alzerai e di questa grande spiaggia non ci sarà più nulla, un segno qualsiasi, nulla. Il mare cancella, la marea nasconde ed è come se di qua non fosse mai passato nessuno, ma la Bellezza rimane. Ora pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Non sono infiniti, loro. Ma dentro a quei tasti, infinita è la musica che puoi suonare. Noi siamo le note dell’immensa sinfonia della Bellezza.»
I condottieri intellettuali di Mister B. sussurravano parole vuote che ogni giorno si facevano strada nel nulla assoluto di un popolo che cerca la libertà ma non sa stare senza un padrone. Semi di fiori tossici, belli e letali che distoglievano dalla brutale realtà di una dittatura unica al mondo.
La dittatura della Bellezza.
«Vitaliano!»
Oltre la cancellata, c’era un uomo. Si aggrappava alle sbarre con mani tremanti, i vestiti laceri e sporchi, gli occhi dell’animale braccato. A momenti non lo riconosceva.
«Vitaliano! Sono io, Matteo!»
Vitaliano si avvicinò. Bordighera allungò la mano e gli afferrò una manica.
«Aiutami!»
La voce era poco più di un sussurro. Si guardava intorno disperato.
Vitaliano strinse gli occhi. Non rimaneva nulla della persona arrogante e boriosa di un tempo. Sotto le guance svuotate e flosce rimaneva solo la paura e la tormentata volontà di vivere dei cani randagi che rovistano nella spazzatura in cerca di un boccone che li faccia vivere un giorno ancora o li uccida la notte stessa.
«I bellisti mi stanno addosso. Devi nascondermi, ti prego! Devi!»
Vitaliano fece un passo indietro.
Scosse la testa piano.
«No. Non ti devo più nulla.»
La disperazione mutò in rabbia. Bordighera colpì la cancellata.
«Maledetto! Hai solo cambiato padrone, cane schifoso!»
Vitaliano rimase in silenzio. Dalla boscaglia arrivavano delle voci.
«La Libertà, Bordighera, ricordi? La Libertà sopra ogni cosa. E ho scoperto quant’è bello essere liberi.»
«Ma non lo sei! Non lo è nessuno, con questi fanatici!»
Vitaliano sorrise.
«Non lo siamo mai stati. Tu dovresti saperlo più di chiunque altro. Li hai messi tu al potere.»
«Io volevo solo che le persone fossero libere! Io sono il Garante del Popolo».
Le voci erano sempre più vicine.
«Tu non sei diverso da loro. Volevi solo di più. Ma è così che funzionava per voi, no? La libertà personale è inviolabile, anche quando va a scapito degli altri, vero?»
«Sei un traditore!»
«No, Bordighera. Non lo sono. Non sono mai stato dei vostri. Sono solo un servo. Faccio ciò che mi riesce meglio.»
«E cosa, allora, cosa?»
«Sopravvivere.»
Dalle frasche uscirono alcuni uomini senza divisa. Ognuno di loro portava al braccio una fascia colorata con una B nera stampata.
I manganelli si alzarono e si abbassarono più volte. Colpivano secchi le gambe, le braccia, la schiena.
Bordighera si proteggeva il volto, singhiozzando, raggomitolato in posizione fetale.
Una ragazza colpiva più forte degli altri.
Uno dei bellisti alzò la mano. I manganelli si fermarono.
Uno a uno, tirarono fuori un libro. Vitaliano riconobbe l’autore.
In piedi attorno a Bordighera, ammiravano il loro lavoro.
L’uomo aprì il libro e lesse un passo.
«Aveva la bellezza di cui solo i vinti sono capaci. E la limpidezza delle cose deboli. E la solitudine, perfetta, di ciò che si è perduto.»
Afferrarono Bordighera sotto le braccia e lo trascinarono via.
Betta incrociò lo sguardo con Vitaliano. Si riconobbero in silenzio.
Vitaliano estrasse una sigaretta rollata da un vecchio pacchetto stropicciato di MS. Le originali erano finite da un po’.
Non eravate belle, ma eravate buone, sospirò.
Tirò una boccata di fumo acre, la trattenne nei polmoni come si trattengono i ricordi. La brezza serale spezzò il ricciolo di fumo bluastro. Sorrise.
Anche quella sera non avrebbe trovato la voluta perfetta.