Schegge di retorica mediatica (come fottervi con la vostra stessa testa)
2 ottobre 2014. Al tempo lavoravo ancora in rassegna stampa e cosa succede? Come tutte le mattine apro La Stampa e mi faccio una bella sghignazzata. Considerate la situazione: pieno allarme ebola, epidemia dell’anno e grave emergenza umanitaria. Allora la situazione sembrava gravissima, tutti si cagavano sotto. Adesso c’è il COVID che ci usa come carta da culo da un anno e mezzo e l’ebola non se lo ricorda più nessuno.
Tanto per capirsi, in quegli anni tendevo un tantino all’ipocondria. Non avevo ancora scoperto il Nepal, grande catarsi che ha avuto anche il merito di lenire le mie paure. Ancora oggi il problema è che non mi piacciono le situazioni fuori controllo tranne quando riesco a controllarle (sembra un affermazione piuttosto ossimorica, vi assicuro che non lo è) eppure cerco di mantenere una visione un poco più critica.
Quindi me la ridevo nonostante l’ipocondria, e certo non per cinismo. Parliamo di un’epidemia che rischiava di fare un vero casino (vi ricorda qualcosa?), la serietà avrebbe dovuto essere d’obbligo.
Insomma, cosa c’entra il mio divertimento con il fatto che a Dallas fosse stato rilevato un caso di ebola e che 18 persone fossero finite in quarantena?
Semplice: il tono, il mood di tutto l’articolo, era una bella polpettina avvelenata di retorica.
Io con le parole ci lavoro. Faccio il copywriter da anni e per altrettanti ho lavorato in rassegna stampa, attività che presuppone leggere decine e decine di articoli al giorno. Parole, parole, parole. E quelle che potete leggere nell’articolo (o meglio il modo nel quale sono utilizzate per costruite le frasi) sono usate proditoriamente al fine di creare allarme.
Già in passato mi ero occupato di retorica e giornalismo, ma questo articolo è perfetto per rincarare la dose e aprire gli occhi di chi legge i giornali, magari solo saltuariamente, e non si rende conto che come si scrive qualcosa è addirittura più importante di cosa si scrive.
Analizziamo l’articolo:
Titolo: Ebola, il malato americano ha viaggiato anche in Europa
Sottotitolo: Caccia a chi è entrato in contatto con l’infettato. Ci sono dei bambini
Ora, già questo è sufficiente per capire il tenore, ma tanto per rendere chiare le cose: il titolo contiene tutto ciò che serve per attirare l’attenzione. Ebola (con la E maiuscola, attenzione!), americano, Europa rappresentano il triangolo semantico perfetto: focalizzano l’attenzione del lettore sul fatto che l’ebola è arrivato in america, e l’ha fatto passando per l’Europa. Poco importa il come o le tempistiche o qualsiasi altro ragionamento razionale si possa e debba fare. Il titolo deve suscitare un’emozione tanto forte da indurre il lettore a proseguire.
Il sottotitolo rincara la dose (siamo già nel retorico spinto, ma a questo punto il lettore meno accorto ha già un piede nel cosiddetto imbuto).
Le parole fondamentali qua sono altre: caccia, infettato, bambini.
Iniziate a capire come funziona il giochetto eh? È tutto lì, nero su bianco.
Quello che viene dopo è puro cincischiare con le paure della gente: la frase d’apertura è:
“L’ordine è quello di evitare il panico, dopo il primo caso di Ebola diagnosticato negli Stati Uniti, ma ogni ora che passa aggiunge particolari preoccupanti a questa storia”
E voi, a questo punto, ci siete dentro con tutte le scarpe. L’autore, Paolo Mastrolilli, non è certo un giornalista di primo pelo, anzi: è una delle vecchie volpi de La Stampa. Sa perfettamente cosa vuole e come ottenerlo utilizzando uno dei mezzi di persuasione più potenti che esistano: la retorica.
Che, citando wikipedia, altro non è che un metalinguaggio il cui scopo finale è la persuasione.
Ed è lo stesso metalinguaggio che permette a un ADV di convertire, a un post di ricevere interazioni e condivisioni e nella vita spiccia di convincere la vostra ragazza che andare in vacanza con gli amici in Croazia a sfondarsi di alcool è un’ottima idea. Il giornalismo vive di retorica, ma questa è presente in moltissimi aspetti della vita quotidiana. Ormai la usano anche i complottari (soprattutto loro!)
Come ho già detto da qualche altra parte, ciò che fa la differenza è la consapevolezza, riuscire a discernere tra ciò che è scritto e i metasignificati infusi ad arte per ottenere una determinata reazione. La consapevolezza si costruisce, leggendo e informandosi, addentrandosi nella notizia, comparando diverse fonti. Un altro esempio è presente in quest’articolo: nella chiusura (le ultime due frasi, solitamente destinate a consolidare un’opinione nel lettore attraverso un’affermazione dal valore empatico) troviamo un richiamo a un’evento che una semplice ricerca su internet può ridurre notevolmente nei contenuti e nel significato. Riporto:
Nel frattempo, a Rhode Island, è morto un bambino che aveva contratto un altro virus misterioso chiamato EV-D68. Non è legato all’Ebola, ma si aggiunge alla paura del contagio.
Ci siamo, di nuovo. Bambino, contagio, l’utilizzo della parola ebola con la E maiuscola. Il tutto converge per rafforzare nel lettore il senso di catastrofe imminente. Salvo poi informarsi, fare una ricerchina su internet e scoprire che il virus EV-D68 non è misterioso, è semplicemente un enterovirus ben conosciuto dal CDC americano. Ma al lettore poco curioso questo importa poco – la conversione è realizzata e il sentimento di allarme è ben consolidato.
E la magia è compiuta.
Ho fatto un giro molto, molto largo. Volevo arrivare agli eventi di questi ultimi giorni, nel secondo anno della pandemia, perché dalle parti di Napoli (ma a dire il vero in tutta Italia) ululano contro i vaccini antiCOVID per un’insegnante morta di infarto intestinale causato da un’ernia, mentre sui giornali imperversano false correlazioni costruite ad arte.
Intanto i gruppi editoriali fanno audience, i no-vax raccolgono proseliti e sale la diffidenza.
Nulla di nuovo sotto il sole, ma sarebbe ora di finirla con le stronzate.
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