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Tutti come Myazaki. Ma anche no.

Io non scrivo mai.
Che, detto da uno che per vivere fa il copywriter – o come preferisco dire, scrive cazzate a cottimo – è un bel paradosso.
Rettifico: non scrivo mai su Linkedin, o sui social. Rarissimamente (come oggi), su questo blog.
Scrivo solo per gli altri – come un falegname fa sedie, o tavoli, o cassettoni, ma poi a casa siede per terra o mangia sul divano – perché credo che le cose interessanti le scrivano in pochi, mentre i più si limitano a fare da cassa da risonanza a un pensiero comune, alla mediana algebrica del cogitato popolare.
Digerito, più che pensato.
Ed espulso, per lo più dall’orifizio sbagliato.
E allora mi chiedo: perché cercare di scrivere qualcosa di interessante? Chi ne è davvero capace lo faccia, lo leggerò con piacere in mezzo al rumore.

Poi, stasera, mentre piscio il cane (forma transitiva, sì, perché mi piace anche se errata), mi coglie un dubbio.
In tutto questo rumore, c’è qualcuno che dice cose scomode?
Mica tanto.
Di solito – soprattutto su Linkedin, ho notato, dove sembra esserci la necessità di vendersi un po’ come su Instagram, ma con meno tette – si prende un’idea impregnata di rettitudine, la si coccola un po’ e la si ripropone, ergendosi alfieri della libertà e di quanto dovrebbe esserci di buono e giusto in qualcosa.

“Ma di che cazzo parla, questo?”
Per questa volta, di Intelligenza Artificiale.
Solo che, invece di dire che l’IA è brutta e cattiva, sospendo il giudizio e mi chiedo:
“ma siamo sicuri che sia brutta e cattiva?”

Il post appena letto di un collega copywriter è l’ennesimo esercizio di retorica per dire che l’IA è un furto. Che è il male, che è disonesta, che è immorale.
E io mi chiedo se uno strumento possa essere considerato secondo categorie proprie dell’essere umano, soprattutto nel momento in cui l’intelligenza artificiale è ancora ben lungi dall’essere un’Intelligenza tout-court.
Gemini, o ChatGPT e i LLM in generale – sono sistemi che si basano sulla relazione statistica tra le parole. Selezionano la parola successiva sulla base di una probabilità ponderata (anche questa è una semplificazione, concedetemela).

Nella migliore delle ipotesi, sono uno strumento che può essere usato bene o male, che permette di copiare uno stile e di produrre del testo talvolta accettabile e su cui è possibile lavorare (ammesso che vengano rispettati numerosi requisiti).

E allora faccio outing.
Io l’IA la uso.
Sono quindici anni e fischia che faccio questo mestiere, senza contare i precedenti sette nell’ambito della rassegna stampa. Ho scritto migliaia di pagine, di qualsiasi tipo. Per dire, ho scritto 350 articoli di marketing odontoiatrico e controllo di gestione. Pensate un po’ che palla colossale.
Per farlo, ho studiato quale fosse il linguaggio di settore, cosa era stato già detto, come avrei potuto dirlo diversamente e cosa ancora si poteva dire di nuovo.
E ho scritto.
È arte? Ma cazzo, no.
È mestiere? Sì.
E dirò qualcosa di più: non siamo nemmeno all’artigianato della parola, quanto piuttosto alla produzione in serie. Di qualità, perché il mio lavoro lo so fare, ma pur sempre produzione di massa.

Ecco, un copy, spesso, non si comporta in maniera poi tanto diversa da una IA. Si istruisce e – spesso per mimesi e un po’ per sintesi – produce qualcosa di già sentito, magari in una forma migliore o, nel migliore dei casi, più nuova (o fresco), almeno in minima parte.

E allora io la IA la uso, perché non ho la presunzione di pensare che la mia sia arte. Per fare l’arte, non la usi la IA, perché non ti serve, se non come trampolino di lancio.
Ma a un artigiano invece sì che può essere utile.
Torniamo al falegname, che non è l’ebanista e non è nemmeno l’IKEA.
Il falegname, se deve fare un tavolo molto bello, sceglie il legno secondo sua esperienza. Poi cerca di ottenere un prelavorato – una tavola piallata, ad esempio – utilizzando strumenti che gli permettano di lavorare efficacemente ed efficientemente.
Potrebbe, sì, usare una pialla a mano. Potrebbe trattare quella tavola di massello proprio come fa il mio liutaio, un truciolo alla volta.
Ma lui mica è un liutaio. È un cazzo di falegname.
E ci sono tanti, tanti motivi se il falegname che ti fa un bello, bellissimo tavolo, decide di non lavorare con pialla a mano e sega giapponese. E se lo fa (o te lo fa credere), è di sicuro frutto di una scelta strategica.
Bene, il nostro falegname prende la tavola, poi la fresa per fare gli incastri, poi la incolla, e poi blablabla, e fa un sacco di cose che tu, che prendi la piallatrice su Amazon e rischi le dita solo per fare incazzare tua moglie (che voleva andare all’IKEA, te l’aveva detto fin da subito), non faresti.
E che non sai nemmeno di dover fare, perché non sei un falegname, al massimo uno che guarda i video su Youtube.
Sai però che alla fine, quello, non è un tavolo. È una porcheria (che però hai fatto tu, e pertanto magari ne vai pure orgoglioso. Un po’ come i figli.)

Ecco, ci siamo quasi.
Per un copy, un IA dovrebbe essere uno strumento di lavoro. Né più, né meno. E non toglierà nulla alla sua abilità professionale, perché vi assicuro, se non la educhi con quello che hai scritto in anni di sofferenze sulla tastiera e in terapia, non ottieni niente.
Ma un copy, da quel maledetto prompt, può ottenere un pre-elaborato su cui mettere le mani e che magari – a volte, non sempre – gli permette di uscire anche dai binari della sua narrativa interna, che poi è quel male tutto privato del copywriter che sognava di essere uno scrittore e non accetta di dover scrivere articoli per lo studio dentistico in via XX.
Ma quello che succede poi, è mestiere che nessuna IA ti ruberà mai, almeno finché non diventerà davvero una Intelligenza. E poco importa se a quel punto sarà Artificiale, perché nel momento in cui possiederà una coscienza, dovrebbe essere degna di rispetto. E anche allora, probabilmente, le mancherà ancora l’inconscio, quindi noi umani saremo comunque ancora un passo in avanti.

Questo vale per i copy, ma anche per i disegnatori, o anche per i musicisti, per quel che vale.
Sì, tutti con la foto profilo in stile Ghibli e preoccupati che le IA rubino i lavori ai Myazaki.
Il punto è che di Myazaki ce n’è uno.
E non siete voi, né l’AI di turno.
Quindi state tranquilli: se siete destinati alla grandezza, troverete la vostra strada ugualmente.
Una IA è male solo nella misura in cui ci rende pigri.

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