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Un po’ più onesto, ancora un po’!

Nella Masterclass di Storytelling di Neil Gaiman c’è un esercizio da far venire i capelli bianchi.

Per far pratica con l’onestà nella vostra scrittura scegliete uno dei seguenti momenti e scrivete qualche paragrafo a riguardo.

* un momento di profondo imbarazzo

* qualcosa di cui vi siete pentiti

* il momento più triste della vostra vita

* un segreto che non vorreste rivelare a nessuno

Mentre scrivete fate attenzione al vostro registro interno, in particolare a ciò che vi mette a disagio. Cercate di essere “un po’ più onesti di quanto non vorreste essere”.
Ricordate che essere coraggiosi non significa non aver paura. Vuol dire agire comunque.
Adesso leggete ciò che avete scritto a qualcuno di cui vi fidate. Fate attenzione a come vi esprimete e alle sensazioni fisiche che provate. Analizzate di cosa avete paura, quale giudizio temete e scrivetelo.

Esatto, è roba da incubo. Tutto con uno scopo: esercitare l’onesta nella scrittura, quella cosetta che permette di digerire la verità e trasformarla in verosimiglianza.
Questo strumentino di tortura mi ricorda una lezione di Raul Montanari – era il lontano 17/10/2015 – sulle leggi della narrativa. La prima, secondo Raul, è che il racconto è la scatola dove narrare la realtà della vita. Cito la trascrizione che ho trovato su un quaderno di appunti:

La narrativa funziona quando è verosimile nei dettagli e nella coerenza interna. Quando dobbiamo scegliere tra verità e verosimiglianza è opportuno scegliere la seconda, perché rientra nell’ordinamento del mondo del lettore. Se la verità è fondamentale per la narrazione, usiamola. Altrimenti la verosimiglianza è sicuramente più opportuna. La domanda da farsi è la seguente: è necessario che il lettore conosca l’esatta verità? Se la risposta è no, allora la verosimiglianza è più che adatta.

Un esempio è Arancia Meccanica di Burgess. La scena dello stupro si ispira a un fatto reale: la moglie dell’autore è stata picchiata e violentata da quattro soldati americani nel 1942. Burgess ha preso un evento così traumatico e doloroso e l’ha utilizzato come base per la scena descritta nel libro. Ai lettori, infatti, non serviva la verità, ma era necessaria la verosimiglianza.

E l’onestà dell’esercizio, allora? Beh, quella è tutta pratica per fare i conti con noi stessi e riuscire a elaborare la verità e poterla utilizzare in modo verosimile in ciò che scriviamo.

Ok, fin qui tutto bene. Gli scrittori – professionisti o amatori, bravi o scarsi, umili o pieni di sé – hanno tendenze sadomasochistiche, mi sembra evidente. Si assumono il ruolo particolare di narratori e per farlo si sottopongono a tutta una serie di torture autoinflitte. Ma lo stesso esercizio di cui sopra è davvero utile anche per chi non ha alcuna velleità scrittoria. Aiuta a fare i conti con i propri dolori e a prendere le giuste distanze dai momenti più bassi della vita.

In Doctor Sleep, di Stephen King, il protagonista Danny Torrance (sì, quel Torrance; Doctor Sleep è il seguito di Shining) è adulto e ha alle spalle una storia di alcol. Ha un segreto che lo angoscia e che è presente come una macchia scura per tutto il libro. Quando riesce a liberarsene durante una seduta di auto aiuto, si rende conto che il segreto è atroce per lui, ma per gli altri è solo un’altra triste storia come tante.

Il messaggio per il lettore (e col quale il lettore si relaziona) è semplice: vivi i tuoi demoni con più leggerezza, perché non sei solo e non sono i peggiori sulla piazza. La verosimiglianza della scena rende fruibile il contenuto che si aggancia al vissuto di chiunque, perché tutti abbiamo qualche scheletro nell’armadio.
Questa verosimiglianza che King riesce a mettere in campo deriva dalla verità, ovvero dalla sua esperienza diretta di alcolista così ben descritta nel saggio On writing: autobiografia di un mestiere.

Raul Montanari ha ragione (e con lui Gaiman, King e tutti gli altri. Cazzo, lo dice anche Aristotele!): il rapporto onestà/verità/verosimiglianza è LA BASE della narrazione. Senza ci sono solo parole vuote, magari belle ma prive di appeal.

Vi lascio così, con una citazione sulla poetica aristotelica trovata in giro sulla rete.

Ma che cosa è la verosimiglianza? Secondo Aristotele è un qualcosa di intermedio fra la verità e la falsità, cioè qualcosa che forse è accaduto e forse no, ma sarebbe potuto accadere e che potrebbe accadere; non importa insomma che una vicenda sia vera, importa che sia verosimile.

(Poi su aletheia (verità) ed eikós (possibile, verosimile) ci torniamo, va’, così parliamo un po’ di realismo magico.)

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